Lo hanno sperimentato quasi tutti nei giorni difficili del lockdown per contrastare l’emergenza sanitaria causata dal Coronavirus: la coesistenza in casa di tante attività diverse, dalla formazione online allo smart working, ha imposto nuove regole di convivenza.
Il confinamento casalingo ha infatti significato per molte famiglie la necessità di rimodulare abitudini lavorative e scolastiche, spesso mettendo in pochi metri quadrati adulti alle prese con riunioni e telefonate di lavoro e ragazzi impegnati con i compiti e le lezioni. Attività che per poter essere svolte in tranquillità impongono l’utilizzo frequente di auricolari e cuffie.
Ma è bene sapere che un utilizzo prolungato degli auricolari può danneggiare la nostra capacità uditiva.

Vediamo perché. Il rischio di danneggiare l’udito è legato a due fattori: volume del suono e tempo dell’esposizione. Questo significa che se anche il volume è contenuto, ma la sollecitazione auricolare è protratta nel tempo, c’è la possibilità che gli effetti sul nostro udito si facciano sentire (è proprio il caso di dirlo).

«Stimoli sonori intensi come il rumore del trapano o una serata in discoteca possono danneggiare il nostro organo uditivo se somministrati per più di 15 minuti al giorno senza opportuni periodi di recupero» spiega Maurizio Serra, Dottore in Tecniche Audioprotesiche. «Ma anche livelli di intensità minori, come quelli del traffico in una strada affollata, possono provocare danni se somministrati per più di otto ore ogni giorno.»

Per evitare che due mesi di smart working e smart learning possano compromettere l’udito per sempre, però, basta seguire dei piccoli accorgimenti, come evidenziato dagli esperti. Per esempio regolando il sistema audio del computer o del cellulare al 60% del volume massimo e utilizzandolo per non più di 60 minuti consecutivi e comunque prendendosi una pausa di un quarto d’ora ogni ora.

Altro consiglio è quello di utilizzare una cuffia, che contribuisce ad attutire i suoni ed è meno traumatica rispetto agli auricolari che, invece, essendo inseriti direttamente nel padiglione e quindi nel condotto uditivo, sono più lesivi, perché l’erogazione del suono è quasi a diretto contatto con la membrana timpanica.

Gli auricolari sono poi un ricettacolo di batteri e germi in grado di generare infezioni all’orecchio: li riponiamo in borse, zaini, tasche, li lasciamo appoggiati ovunque, contaminandoli. Ecco perché la pulizia quotidiana degli auricolari con presidi disinfettanti è una pratica indispensabile per la prevenzione della salute dell’udito.
Senza dimenticare poi che già la normale sostanza organica presente nelle orecchie accresce la presenza batterica sugli auricolari. Ecco quindi che questi strumenti indispensabili per molte delle attività che svolgiamo in casa in periodo di quarantena diventano un formidabile veicolo di batteri, causa di infiammazione del condotto uditivo o dell’orecchio. Un’eventualità amplificata nei casi in cui nel condotto uditivo sussistano lesioni preesistenti o abrasioni della cute.

La perdita di udito è un processo irreversibile, e per questo il consiglio sempre valido è sottoporsi a un esame audiometrico periodico, soprattutto in caso di fastidi e fischi oppure se si incontrano difficoltà nell’avvertire suoni acuti, nel comprendere dialoghi (per lo più telefonici), oppure nel seguire conversazioni in ambienti rumorosi.

«L’ipoacusia interessa il 10-15% dei giovani adulti e raggiunge il picco d’incidenza del 90% nella popolazione over 80 – sottolinea Sandro Lombardi, Presidente di ANIFA (associazione dei produttori di Apparecchi Acustici all’interno di Confindustria Dispositivi Medici ) – alla sua insorgenza possono concorre numerosi fattori predisponenti come la familiarità, l’esposizione prolungata ad ambienti urbani e professionali particolarmente rumorosi, l’utilizzo ad un volume troppo elevato di amplificatori ed altri strumenti per l’ascolto della musica e l’avanzare dell’età, che porta naturalmente con sé un progressivo deterioramento della sensibilità uditiva.»

Meglio correre ai ripari dunque, evitando di incorrere in comportamenti superficiali che espongono maggiormente al rischio. Un rischio che, stavolta, può essere evitato.

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