L’analisi della capacità di udire può aiutarci a capire se un uomo di Neanderthal sapesse anche parlare? Il paleoantropologo spagnolo Ignacio Martínez pensa di sì. E per vent’anni ha tentato di dimostrarlo.

I risultati della ricerca ventennale sono stati recentemente pubblicati su Nature Ecology & Evolution. Nello studio Martínez spiega in che modo lui e i suoi colleghi siano riusciti a scoprire che l’apparato uditivo dei Neanderthal percepiva i suoni in modo simile a quello degli esseri umani moderni.

Per anni gli archeologi si sono chiesti se i Neanderthal – la specie di ominidi vissuti in un periodo compreso probabilmente tra mezzo milione e qualche decina di migliaia di anni fa – avessero un qualche tipo di linguaggio, per capire come l’essere umano abbia sviluppato la capacità di parlare con i suoi simili. Per farlo hanno tentato senza successo di ricostruire la capacità dei Neanderthal di emettere suoni e articolarli.

Fino a che a Martínez è venuta l’idea di affrontare la questione prendendola da un altro lato, cioè ricostruendo la loro capacità di udire. E questo, secondo i ricercatori, dimostra che i Neanderthal avevano un linguaggio simile al nostro.

Per il loro lavoro Martínez e gli altri ricercatori hanno usato la tomografia computerizzata (TC) per creare delle immagini tridimensionali di parti anatomiche grazie ai raggi X. Con questa tecnica hanno elaborato modelli virtuali e tridimensionali degli apparati uditivi di cinque Neanderthal, di dieci Homo sapiens e di nove ominidi antenati dei Neanderthal. E hanno inserito i dati raccolti in un sistema sviluppato nel campo dell’ingegneria biomedica, basato su un software in grado di misurare la capacità di un apparato uditivo.

L’apparato uditivo degli esseri umani è molto complesso e si è evoluto in modo tale da percepire i suoni che vanno dai 15-20 hertz (Hz) fino a circa 20 kilohertz (kHz), cioè 20mila Hz. All’interno di questo campo di frequenze, definito campo di udibilità, ce ne sono alcune che percepiamo meglio di altre, quelle dei suoni emessi quando parliamo, che vanno dai 100 Hz ai 5 kHz. In particolare, percepiamo bene le frequenze tra i 3 e i 5 kHz, quelle delle consonanti, definite dai ricercatori il “punto ottimale” dell’udito.

Attraverso le misurazioni del software, i ricercatori hanno scoperto che l’apparato uditivo dei Neanderthal ha un “punto ottimale” equivalente a quello dell’Homo sapiens, e questo secondo loro dimostra che anche i Neanderthal avevano un linguaggio verbale. «L’uso delle consonanti distingue il linguaggio umano dalla comunicazione dei mammiferi, che è fatta quasi completamente da vocali», ha spiegato al New York Times Rolf Quam, paleoantropologo che ha partecipato alla ricerca. «Come grugniti, ululati e grida».

Anche se i partecipanti allo studio sostengono il contrario, alcuni ritengono che non sia davvero stata trovata una risposta alla domanda principale, cioè se i Neanderthal parlassero. Robert Berwick, linguista computazionale, dice che il “punto ottimale” dell’udito dei Neanderthal non dimostra necessariamente che avessero anche le capacità cognitive per creare un sistema linguistico simile al nostro. Secondo Berwick la forma del nostro apparato uditivo non ha un collegamento diretto con la nostra capacità di comunicare.

Secondo Quam invece i risultati dello studio sono importanti e soprattutto affidabili. «I risultati sono attendibili e dimostrano chiaramente che i Neanderthal avevano la capacità di percepire e produrre il linguaggio umano. Si tratta di uno dei pochi lavori di ricerca basati su prove fossili in corso sull’evoluzione del linguaggio, un tema antropologico notoriamente complicato».

Fonte: www.ilpost.it

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