Ormai pare accertato: le relazioni tra malattia di Alzheimer e caratteristiche del sonno vanno ben al di là del riscontro assai comune di disturbi del sonno in questi pazienti. Le alterazioni del sonno, infatti, costituiscono un fattore di rischio per la malattia, perché un ‘buon sonno’ svolge un ruolo centrale nell’eliminazione dei metaboliti ‘cattivi’ della proteina b-amiloide facilitandone l’aggregazione ed il deposito tipico dell’Alzheimer.

Mancava però nella letteratura scientifica una conferma empirica della correlazione fra alterazione del sonno e malattia. Conferma che è giunta da uno studio pubblicato sulla rivista Open Access di Science (IScience) e coordinato da ricercatori della Sapienza e dell’Irccs San Raffaele Roma, in collaborazione con l’Irccs Fondazione Policlinico Universitario Gemelli e dell’Università dell’Aquila.

Lo studio ha infatti evidenziato, per la prima volta, specifiche alterazioni elettroencefalografiche (Eeg) del sonno in malati di Alzheimer, dimostrandone la relazione con le alterazioni dell’Eeg durante lo stato di veglia.

Ci sono voluto 10 anni di lavoro, ma la ricerca ha dato i suoi frutti, dal momento che quello recentemente pubblicato è il primo e più esteso studio al mondo in cui si sono confrontate le attività regionali e di frequenza dell’Eeg con quelle dell’Eeg di veglia registrate in diverse occasioni nel corso della giornata (allo scopo di escludere l’influenza di fattori circadiani).

A raccontare i risultati sono Luigi De Gennaro e Paolo M. Rossini, coordinatori della ricerca «Come risultati principali dello studio abbiamo identificato: in entrambi i gruppi clinici (Alzheimer e pazienti con disturbo cognitivo lieve) un rallentamento dei ritmi cerebrali nel sonno REM (quello in cui si sogna) paragonabile a quello già descritto in veglia; il fenomeno del sonno REM correla con il decadimento cognitivo dei pazienti; una drastica diminuzione nell’attività sigma del sonno NREM, sempre in entrambi i gruppi clinici; una consistente riduzione della funzione del sonno nel consentire processi di recupero cerebrale conseguenti alle attività di veglia.»

Le implicazioni di un simile studio aprono nuovi orizzonti per il trattamento delle alterazioni del sonno e, ancora più, per lo specifico quadro dei pazienti con disturbo cognitivo lieve che in moltissimi casi rappresenta l’anticamera dell’Alzheimer.

 

Fonte: IScience

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