La maggior parte delle persone, quando sente per la prima volta il suono della propria voce, lo trova come minimo strano, in alcuni casi addirittura spiacevole. Ora una serie di esperimenti prova a spiegare perché.

Secondo Neel Bhatt, docente di otorinolaringoiatria all’Università di Washington, a Seattle, e chirurgo specializzato nel trattamento dei pazienti con problemi alla voce, le ragioni che generalmente rendono strano o sgradevole l’ascolto della propria voce nelle registrazioni sono sia di ordine fisiologico che psicologico.

Le ragioni fisiologiche fanno riferimento al modo in cui il suono della registrazione arriva al cervello, che è diverso dal modo in cui viene trasmesso il suono generato quando si parla. Le onde acustiche generate dalla riproduzione della propria voce registrata viaggiano attraverso l’aria e fino alle orecchie, utilizzando quella che viene definita “conduzione aerea”. Dall’orecchio esterno, medio e interno, e poi al nervo cocleare arrivano al punto in cui comunicano con il sistema nervoso centrale.

Quando parliamo, invece, il suono della voce arriva all’orecchio interno in un modo diverso, che prevede soltanto in parte la conduzione aerea sfruttata dagli altri suoni che normalmente ascoltiamo quando non siamo noi a produrli. Gran parte del suono della voce che emettiamo viene condotto direttamente attraverso le ossa del cranio, un tipo di conduzione interna che aumenta le frequenze più basse. Ecco perché le persone di solito percepiscono la loro voce come più profonda quando parlano e più stridula e più acuta quando la ascoltano attraverso una registrazione.

L’altra ragione per cui l’ascolto della propria voce registrata può generare una sensazione di disagio, secondo Bhatt, è psicologica. Quella voce è in un certo senso una voce «nuova», una prova della differenza tra la propria percezione di sé e la realtà. «All’improvviso ti rendi conto che altre persone hanno sentito qualcos’altro per tutto il tempo», scrive Bhatt.

Esistono inoltre studi che dimostrano differenze fisiologiche ed emotive rilevanti tra il modo in cui le persone ascoltano sé stesse e il modo in cui ascoltano tutte le altre. In un esperimento condotto per uno studio dell’Università di Newcastle e della fondazione britannica Royal Free London, pubblicato nel 2005 sulla rivista Clinical Otolaryngology, a un gruppo di pazienti con problemi alla voce fu chiesto di valutare la propria voce ascoltandone alcune registrazioni. Le stesse registrazioni furono sottoposte a un gruppo di medici, e anche a loro fu chiesto di valutarle. Dai risultati emerse che i pazienti tendevano a valutare in modo molto più negativo la qualità della loro voce rispetto ai giudizi espressi dai medici.

Susan Hughes, psicologa evoluzionista dell’Albright College a Reading, in Pennsylvania, si è chiesta però quali sarebbero le nostre reazioni emotive se non sapessimo di ascoltare le nostre voci. Nel 2013, motivata da questo interesse, condusse un esperimento in laboratorio con alcuni studenti, concludendo che – se non sappiamo di ascoltare la nostra voce in mezzo ad altre – la riconosciamo con difficoltà, trovandola più attraente di quella altrui.

Questi risultati, apparentemente controintuitivi rispetto all’idea prevalente che la nostra voce non ci piaccia, secondo Hughes hanno almeno due spiegazioni. Una fa riferimento al fatto che ci piace inconsciamente tutto ciò che ha a che fare con noi stessi, secondo una teoria del comportamento nota agli psicologi come “egotismo implicito”.

Un’altra possibile ragione addotta da Hughes per spiegare i risultati del suo studio è che ci piacciono le cose a cui siamo più frequentemente esposti. Per quanto la riproduzione della nostra voce possa non suonare come ci aspetteremmo, è pur sempre a noi familiare per averla già ascoltata prima.

 

Fonte: il Post

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