Grande densità energetica senza emissioni nocive: questa la promessa dell’idrogeno, il combustibile del futuro, capace di avvicinarci alla soluzione della transizione energetica. Ma non è tutto così semplice come sembra, né così green. Se è vero infatti che l’idrogeno può rappresentare una leva indispensabile per costruire un’Europa a zero emissioni, con un’economia green, moderna ed efficiente, è altrettanto vero che, al momento, alcuni impedimenti tecnologici e di produzione su larga scala fanno intuire piuttosto un uso molto specifico dell’idrogeno, e in settori limitati. La speranza, quindi, è che nei prossimi anni, attraverso la ricerca scientifica sull’idrogeno, si arrivi a disporre, in modo sostenibile e senza inquinare, di tutta l’energia che ci serve, modernizzando il pianeta e avviando, finalmente, la decarbonizzazione delle industrie ad alta intensità energetica. C’è un primo, grande, problema. Per quanto molto abbondante – costituisce circa il 74% dell’Universo – l’idrogeno non è disponibile in natura da solo; sulla Terra si è combinato con l’ossigeno formando l’acqua: per poterlo utilizzare, quindi, è necessario prima riportare l’elemento al suo stato molecolare. Ottenendo tre tipi di idrogeno diversi: idrogeno grigio, prodotto utilizzando fonti fossili (tra le quali il carbone) in un processo molto inquinante ma relativamente economico; idrogeno blu, prodotto attraverso l’uso di gas naturale ma con sistemi di stoccaggio della CO2, quindi meno inquinante del precedente ma più costoso; idrogeno verde, prodotto attraverso processi elettrolitici utilizzando energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili, in un processo a basso impatto ambientale ma ancora molto costoso. Naturale quindi che gli sforzi attuali riguardano il processo di produzione dell’idrogeno, per evitare di dissipare i vantaggi ambientali che può portare a causa del modo in cui viene prodotto. È così che è nato Gico, il progetto europeo per produrre idrogeno verde da biomasse e rifiuti finanziato dal programma Horizon 2020 con circa 4 milioni di euro, che prevede la contemporanea cattura della CO2 emessa per la sua valorizzazione energetica. La guida della ricerca europea è italiana, con l’Università Guglielmo Marconi nel ruolo di coordinatore ed Enea tra i partner scientifici. Da questo progetto si spera che sia possibile sviluppare la prossima generazione di tecnologie per le energie rinnovabili, che formeranno la spina dorsale del sistema energetico al 2030 e al 2050. Saranno sviluppati impianti a biomasse residue di piccola e media taglia (500 – 5.000 kWe) che utilizzeranno da 2 a 20 tonnellate di scarti al giorno disponibili a livello locale, secondo un approccio di utilizzo sostenibile e circolare delle risorse. Insomma, la cogenerazione a idrogeno potrebbe diventare la spina dorsale della centrale elettrica del futuro, che potrà essere gestita in modo sostenibile dal punto di vista climatico, anche compensando le fluttuazioni della produzione di elettricità prodotta da parte di centrali eoliche e solari. L’infrastruttura esistente può essere riadattata in parallelo e in sincronia con la crescente disponibilità del gas, senza arrestare o avviare repentinamente grandi progetti infrastrutturali. Ma l’idrogeno è davvero in grado di salvarci o è solo green marketing? La decarbonizzazione è il futuro dell’economia europea, non ci sono dubbi al riguardo; semmai il dubbio riguarda ancora il modo di arrivarci e i metodi per rendere meno impattanti settori fondamentali come quello della mobilità.   Fonte: Green Planner Magazine
Open chat
Possiamo aiutare?
Salve! 👋
Come possiamo aiutarla?