Le bugie non sono tutte uguali: ci sono mentitori che raccontano bugie per ottenere un vantaggio personale, come nel caso di un criminale che non vuole essere scoperto e cerca di ingannare gli investigatori.
Ci sono tipi di menzogne che vengono raccontate per educazione, come quando diciamo a un nostro amico che abbiamo apprezzato il pasto che ci ha cucinato, anche se non ci è affatto piaciuto. In questo caso si parla di “bugia bianca” che causa per lo più vantaggi a chi la riceve.
Infine ci sono le bugie di Pareto, che si manifestano quando i vantaggi sono sia a favore di chi racconta la bugia, sia di chi la riceve.
Per distinguere un tipo di bugia dall’altro occorre sapere che le bugie possono essere classificate sulla base dell’impegno cognitivo, quindi a seconda alla difficoltà mentale che deve affrontare chi mente, oppure con riferimento alle intenzioni e ai vantaggi ottenuti. Ed è proprio quello che si è cercato di fare con un nuovo studio, recentemente pubblicato sulla rivista Jneurosci.

I meccanismi che si attivano nel nostro cervello sono diversi a seconda della motivazione alla base della nostra bugia. Per indagarli Ju-Young Kim e Hackjin Kim, due neuroscienziati del Laboratory of social and decision neuroscience della Korea University di Seul, i due scienziati autori dello studio, hanno utilizzato la risonanza magnetica funzionale (fMRI) così da scoprire quali aree del cervello si attivavano quando si racconta una bugia bianca con fini egoistici e quando invece lo si fa per altruismo.

Kim e Kim hanno studiato il substrato nervoso delle menzogne partendo da una considerazione pregressa: per ideare una bugia si utilizzano regioni del cervello diverse da quelle che si attivano quando invece si dice la verità. Mentire richiede l’attivazione di una regione del lobo frontale che è associata alla memoria di lavoro. Infatti, mentire non è qualcosa che si può fare a caso, ma richiede una certa attenzione per non rendere la bugia facilmente smascherabile. Per questo motivo, il mentitore deve fare dei controlli mentali che lo impegnano cognitivamente. Le “bugie bianche” e le bugie di Pareto attivano regioni parzialmente diverse del cervello, e gli autori dello studio hanno cercato di identificarle a partire da alcune procedure di induzione alla menzogna.

I ricercatori hanno utilizzato la tecnica della risonanza magnetica funzionale per misurare una attività cerebrale in base al consumo di ossigeno. Esiste infatti un segnale di risonanza magnetica chiamato segnale BOLD, che indica quanto ossigeno viene reclutato in una certa regione del cervello in un determinato momento.
I partecipanti all’esperimento sono stati sottoposti a dei test che inducevano a raccontare bugie mentre si trovavano nello scanner di risonanza magnetica.
Gli autori hanno elaborato un sistema per prevedere “alla cieca” il tipo di menzogna prodotta sulla base delle zone del cervello che si attivavano, ovvero la regione frontomediale e quella dorsolaterale: entrambe appartenenti al lobo frontale. Si sono poi serviti di un algoritmo di machine learning che, in base alla localizzazione dell’attività cerebrale, era in grado di capire se la persona stesse raccontando una bugia di Pareto oppure una bugia bianca totalmente disinteressata.

 

Fonte: IlBOLive

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