Si chiama RePAIR, acronimo di Reconstruction the past: Artificial Intelligence and Robotics meet Cultural Heritage il nuovo progetto che si propone di utilizzare un’infrastruttura robotica con braccia meccaniche in grado di scansionare frammenti di affreschi e di restituirgli la giusta collocazione sul mosaico originale attraverso un sistema evoluto di digitalizzazione 3D. Ed è “l’arma segreta” utilizzata per ricostruire parti mancanti dell’immenso patrimonio archeologico costituito dal sito di Pompei.

La prima sperimentazione di RePAIR avrà una durata di tre anni e riguarderà inizialmente gli affreschi del soffitto della Casa dei Pittori al Lavoro nell’Insula dei Casti Amanti, già danneggiati nell’eruzione del 79 d.C. e poi ridotti in frantumi in seguito ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Ci sarà poi il secondo caso di studio, costituito dai frammenti degli affreschi della Schola Armaturarum, ancora non ricollocati e danneggiati a seguito del crollo dell’edificio nel 2010 causato dal dissesto idrogeologico.

L’attivazione del progetto RePAIR affiancherà il lavoro che dal 2018 sta già portando avanti il gruppo di esperti di pitture murali dell’Università di Losanna, guidato dal professor Michel E. Fuchs. Sarà così possibile confrontare i risultati dei due lavori.

Come sottolinea il direttore del Parco archeologico di Pompei Gabriel Zuchtriegel «Le anfore, gli affreschi, i mosaici, vengono spesso portati alla luce frammentati e quando il numero dei frammenti è molto ampio, con migliaia di pezzi, la ricostruzione manuale ed il riconoscimento delle connessioni tra i frammenti è quasi sempre impossibile o comunque molto laborioso e lento. Questo fa sì che diversi reperti giacciano per lungo tempo nei depositi archeologici, senza poter essere ricostruiti e restaurati, e tantomeno restituiti all’attenzione del pubblico».

 

 

Marcello Pelillo, ordinario di Computer Science dell’Unversità Ca’ Foscari, che coordina il progetto RePAIR, ha spiegato: «Con la sperimentazione in corso vogliamo affinare ed esportare la tecnologia in contesti analoghi a quelli di Pompei, estendendo l’utilizzo anche su papiri e altri supporti fragili come scultura e vasellame, laddove il problema non può essere risolto a mano».
Che prosegue: «Sarà una sfida tecnologica molto complicata che riguarderà tre fasi – prosegue Pelillo -. La prima è la scansione di tutti i pezzi dell’affresco con migliaia di pezzi che dovranno essere catalogati. In questo contesto abbiamo dovuto affrontare il problema che riguarda la manipolazione robotica, che non deve danneggiare i frammenti. Per questo useremo la tecnologia “soft robotic”, capace di agire in maniera estremamente delicata sui pezzi dell’affresco. La terza fase, la più complicata, coinvolgerà il machine learning e l’intelligenza artificiale e riguarderà la risoluzione del puzzle, sfruttando le informazioni acquisite che riguardano dimensioni, geometria e colore dei frammenti. In questa fase la macchina avrà bisogno di integrare quello appreso dalla scansione con l’expertise dell’equipe che già stava lavorando. Sarà dunque fondamentale il supporto degli archeologici, che con i loro feedback aiuteranno la macchina nel risolvere il rompicapo».

 

Fonte: Il Sole 24 Ore

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