Forse non sapevi che l’osso più piccolo del corpo umano si trova proprio nell’orecchio. Si chiama “staffa”, misura appena 0,3 centimetri di lunghezza e 4 milligrammi di peso, e insieme all’incudine e al martello forma la “catena di ossicini” che costituiscono l’orecchio medio, ovvero la parte intermedia dell’orecchio dove le onde sonore provenienti dal timpano vengono amplificate e trasmesse all’orecchio interno e quindi al cervello, che le convertirà in linguaggio.
Ma cosa sappiamo esattamente dell’origine di questo apparato così perfetto, ciò che conferisce ai mammiferi, compreso l’uomo, uno straordinario senso dell’udito?
Staffa e orecchio medio: le origini
Fu il professor Gian Filippo Ingrassia, medico chirurgo e anatomista siciliano, che nel 1546 durante i suoi studi presso l’Università di Napoli scoprì l’esistenza del “terzo ossicino” dell’orecchio, che lui stesso denominò “staffa” (dal latino moderno stapes, derivazione del tardo latino stapia ovvero “stare in piedi”), e della sua funzione di mettere in comunicazione l’orecchio medio e quello interno.
La staffa è posizionata medialmente rispetto all’incudine e si collega con la coclea. Si compone di una platina (base), un capitello (testa) e due branche (archi) ed è presente nel sistema uditivo di tutti i mammiferi e tetrapodi (in quest’ultimi con il nome di columella auris).
In sinergia con gli altri due ossicini, incudine e martello (così chiamati per la caratteristica forma che richiama gli strumenti di lavoro), la staffa permette la trasmissione dei suoni all’interno dell’orecchio. Quando infatti le onde sonore fanno vibrare la membrana timpanica, questa muove il primo degli ossicini, il martello, che trasmette le vibrazioni all’incudine e quindi alla staffa, che ha il fondamentale compito di trasferirle alla coclea perché traduca il suono in segnale nervoso e arrivi al cervello.
Secondo gli scienziati, la formazione dei tre ossicini nell’orecchio medio dei mammiferi sarebbe il risultato dell’evoluzione di alcune ossa della mandibola di un “eutriconodonte”, lontano predecessore dei moderni mammiferi placentari e marsupiali, molto simile a un topo, risalente al Mesozoico, l’Era della Pangea e dei grandi rettili, tra cui i Dinosauri.
Ma quali prove abbiamo a sostegno di questa tesi?
Dal Mesozoico ad oggi: il Liaoconodon
In uno studio pubblicato su Nature, i paleontologi Jin Meng, Yuanqing Wang e Chuankui Li dell’Accademia delle Scienze Cinese a Pechino e dell’American Museum of Natural History a New York, hanno descritto il ritrovamento di un fossile completo di mammifero del Mesozoico, rinvenuto in Cina, che costituirebbe l’anello mancante nel processo evolutivo dall’orecchio dei rettili a quello dei mammiferi, passando per i sinapsidi (una classe di transizione tra le due), e quindi in grado di colmare un “vuoto fossile” durato 150 anni, e finalmente spiegare l’esatta origine della catena di ossicini nel nostro orecchio medio.
Denominato Liaoconodon hui, in riferimento alla località cinese dove è stato rinvenuto, il nuovo fossile misura circa 35,7 centimetri di lunghezza dal naso alla punta della coda, e viveva tra 125 e 122 milioni di anni fa. La sua osservazione ha permesso di scoprire che i tre ossicini dell’orecchio associati alla percezione dell’udito dei mammiferi, cioè il martello, l’incudine e la staffa, erano sì presenti, ma posizionati diversamente e per svolgere un’altra funzione.
Risultavano infatti sostenuti da un altro osso sottile e allungato (cartilagine di Meckel), situato in una scanalatura sulla mascella inferiore. Ciò ha suggerito che durante l’evoluzione un’estremità di questa cartilagine si sia estesa e ossificata, formando la parte della mandibola che ospita i denti incisivi, deputata alla masticazione, e che l’altra abbia contribuito alla formazione delle ossa dell’orecchio medio, per poi staccarsi dalla mandibola e unirsi al cranio, assumendo la funzione attuale.
I risultati hanno quindi portato a una nuova comprensione del nostro sistema uditivo.
Patologie della staffa
Anche una componente così essenziale e delicata come la staffa può subire un danno.
Tra le patologie che possono colpirla c’è l’otosclerosi che, se trascurata, può causare una progressiva perdita dell’udito (ipoacusia) fino alla completa sordità. Le cause sono tuttora poco chiare, ma presumibilmente riconducibili a fattori genetici o ambientali. In sostanza, in una persona affetta da otosclerosi, la staffa non trasmette più correttamente le vibrazioni sonore alla coclea, a causa della crescita di una massa ossea circostante che provoca un progressivo irrigidimento della staffa, bloccandone i corretti movimenti (si parla così di “staffa sclerotica”).
I sintomi più frequenti associati all’otosclerosi possono essere acufene; paracusia (ovvero miglior percezione dei suoni in ambienti rumorosi); problemi di equilibrio e vertigini; nistagmo (ovvero movimento rapido e involontario dei bulbi oculari).
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